Ate Mariam e Ate Katia ci raccontano la loro esperienza con le bambine di Calabnugan
Mentre scriviamo, ci troviamo in un monolocale di Manila senza renderci ancora conto che stiamo per lasciare questo meraviglioso paese, le Filippine. Continuiamo a pensare e ripensare a cosa scrivere ma non riusciamo a buttare giù una riga. Ci ritroviamo sedute con carta e penna a riflettere sulla nostra esperienza e ci domandiamo cosa ci abbia lasciato questo meraviglioso viaggio ma forse stiamo sbagliando prospettiva. Forse sarebbe più corretto domandarci: cosa abbiamo dato di noi in questa esperienza?
Ci sembra quasi di non ricordare nulla, di non aver vissuto per un mese nelle Filippine, nella Casa Famiglia di Isla Ng Bata – L’isola dei Bambini assieme a 28 bambine e ragazze. E allora tornano in mente, come per incanto, le parole di Francesco non appena mettemmo piede in Casa Famiglia:
“Vedrete, i primi giorni saranno lenti ma domani sarà già ora di partire”.
Stiamo per ripartire ora, da un lato con la voglia di rivedere casa e i nostri affetti e dall’altro con la sensazione di avere un enorme macigno sul petto perché le bambine di Calabnugan ci sono entrate nel cuore. Loro che, appena viste, ci hanno accolto con grande semplicità, ci hanno prese per mano e portate sul tappeto elastico e chiamato fin da subito ate (“zia” in italiano), ci hanno lasciato emozioni che adesso facciamo fatica a descrivere.
Cerchiamo allora di partire dall’inizio, da quando siamo venute a conoscenza di questo bellissimo progetto tramite i Padri Scalabriniani di Bassano del Grappa e Ascs Onlus. Lo confessiamo: ci siamo subito innamorate dell’idea di vivere in una casa a stretto contatto con bambine e ragazze adolescenti!
Abbiamo messo in valigia tanta curiosità, la voglia di imparare, di conoscere, di renderci utili e sporcarci le mani, l’amore, il rispetto e la sete di avventura. Entrambe avevamo avuto altre esperienze ma ognuna è diversa dall’altra. Partire come volontario non è una cosa da poco, serve tanta buona volontà, anima e coraggio. Significa mettere a dura prova le proprie abitudini, i propri “vizi”, ciò che crediamo di possedere. Significa mettersi a confronto con i tuoi limiti.
Così, noi abbiamo deciso di partire in un periodo particolare: a giugno le bambine si stavano preparando a tornare a scuola, era un momento importante per la loro vita e per il progetto stesso.
Le abbiamo viste emozionate e agitate per l’inizio dell’anno scolastico, tra libri da incartare, giri per reperire il materiale scolastico, la sfilata con le divise scolastiche e la sveglia alle 5 del mattino per ammucchiarci sul mitico jeepnys arancione.
In casa il ritmo è stato sempre molto frenetico: Flora e Francesco hanno sempre delle commissioni da fare e si occupano della gestione della casa in tutto e per tutto, ma hanno comunque trovato il tempo per noi. Ci hanno accolte, spiegato come funziona la Casa Famiglia, come è nata e come è organizzata, ci hanno fatto conoscere anche gli aspetti culturali di questo popolo e le loro abitudini.
Noi ci siamo sentite subito in famiglia. E in famiglia ci sono capricci, litigi e pianti ma anche tanti sorrisi e affetto. Si approfitta dei pasti per condividere pensieri e momenti: seduti su una lunghissima tavolata, abbiamo mangiato cocco, mango, ananas, il pomelo e le banane fritte. E poi torte, grissini, biscotti e pizza cucinati nel forno, il cui odore rende la Casa Famiglia un posto delle favole.
Ci siamo rese conto di quanto le bambine e le ragazze accolte siano sognatrici: tutte ci hanno detto di voler terminare la scuola a pieni voti per diventare medici, avvocati e ingegneri. Sono ambiziose e allo stesso tempo molto umili e generose. Ci ha colpito molto la loro capacità di “condividere pur di rimanere senza” (pensate che Apple, in un momento in cui i bread stick erano terminati, ci ha porto il suo come se fosse la cosa più spontanea al mondo).
Ovviamente non è stato semplice creare una relazione. Al contrario, con delle ragazze è stata veramente dura anche solo avvicinarsi e con altre non siamo riuscite neanche a parlare (alcune sono timide, schive, osservatrici e poco propense all’essere abbracciate e avvicinate). Sappiamo, però, che ciascuna ha una propria personalità e un carattere che la contraddistingue, che i loro vissuti sono a dir poco tragici e che è giusto rispettare la diversità ed entrare in punta di piedi in un mondo che non si conosce.
Ripensandoci adesso, è stata veramente un’esperienza unica che auguriamo a tutti di vivere almeno una volta nella vita.
Ripartiamo con una valigia da esploratrici carica di colori, di nuovi sapori, di risate e di sorrisi, di profumi, di occhi e di sguardi curiosi, di visi e di incontri, di gesti e letterine, di chitarre strimpellate, di canzoni e di balli, di mani e di abbracci, dei clacson dei pedicab. Abbiamo imparato a non dare più per scontate alcune cose, come corrente e acqua, senza le quali sembra non potremmo vivere. Invece ne abbiamo approfittato per fare spesso dei bagni divertenti nel fiume
Siamo entrate dentro ad una routine difficile da dimenticare. Ci mancherà addirittura il suono della campanella per il richiamo ai pasti!
Questa è un’altra esperienza che ci rimarrà sempre impressa e si aggiunge al nostro bagaglio di vita. Un pezzo del nostro cuore è rimasto lì ad aspettarci.
Katia e Mariam – Volontarie in Casa Famiglia nelle Filippine