BLOG DI ISLA NG BATA - L'ISOLA DEI BAMBINI

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Valerio, dal centro commerciale al volontariato nelle Filippine

Domenica, ore 13.30: sono seduto sulla terrazza della Casa Famiglia. Tira una piacevole brezza nonostante i 37 gradi. Sono passati quindici giorni da quando sono arrivato e ogni giorno rinnovo la promessa di scrivere qualcosa, nella speranza che domani ci sia meno da fare. Forse oggi ci riesco.

La domenica in casa si mangia la pizza: Francesco pensa al forno e le bambine si occupano di impastare. Mentre sono impegnate, in un raro momento di silenzio e concentrazione, posso fermarmi a ricordare perché mi trovo qui.

“Come hai conosciuto kuya Francesco?” – mi domandano spesso le ragazze.

Vi racconto la storia. Due anni fa, a Roma, proprio nel periodo natalizio, Francesco impacchettava regali in un centro commerciale, insieme a due volontari. Io uscivo dal negozio con un cellulare per mia madre. Mi avvicino. Mentre impacchetta il mio regalo, Francesco mi parla, mi racconta i progetti dell’Associazione e mi lascia un volantino aggiungendo che, se per caso conoscessi qualcuno desideroso di partire volontario, quello sarebbe stato il numero da contattare.

“Sarebbe bello” – penso mentre distrattamente metto in tasca il volantino e penso al prossimo regalo da fare. Due anni dopo, eccomi su un volo per Manila.

Conosco bene i tropici, ho vissuto all’estero tanto tempo, ma fare volontariato in una Casa Famiglia che accoglie bambine con storie familiari e in condizioni sociali difficili è tutt’altra cosa!

Mentre viaggio verso Calabnugan, temo forse di aver sottostimato la responsabilità. Francesco mi viene a prendere in aeroporto, proprio quando è in corso un tifone terribile e la pioggia non smette di cadere da giorni. Francesco prova a ricordare dove e quando ci siamo conosciuti, mi racconta dei progetti partiti e quelli ancora da avviare. Poi si ferma sul ponte del fiume Okoy, che conduce alla Casa Famiglia, scende, guarda giù e, in tono rassicurante, dice: “Qua, se l’argine cede siamo rovinati, vecchio! (“Vecchio” è l’appellativo che usa Francesco nei confronti di amici e conoscenti. La sua maniera affettuosa di chiamarli).

“Quanto è alto di solito?” – gli domando.

“Bassissimo! Qualche volta il letto del fiume è asciutto”.

Quando arriviamo a casa a bordo del Jeepneys arancione, non c’è corrente. Non mi preoccupo di stare senza luce. Basta ci sia l’acqua. Invece, dopo pochi giorni, mi rendo conto che luce, acqua e tante altre cose qui non sono garantiti in maniera continuativa e che nulla è scontato.

Il tifone non è durato a lungo, il fiume è tornato ai suoi livelli normali dopo tre giorni e l’elettricità viene ripristinata una settimana dopo: abbastanza per ricordarmi che, da queste parti, per mantenere le cose funzionanti, bisogna combattere.

Mentre varco il cancello della Casa Famiglia, penso: “Ok ci siamo. Adesso mi ritroverò davanti una trentina di ragazzine dai tre ai diciotto anni che mi fisseranno, mi studieranno, mi analizzeranno, mi giudicheranno. Perché sono venuto qua?”.

Invece, entriamo nella casa e due bambine mi vengono di corsa incontro e mi abbracciano. Poi ne arriva un’altra, allunga la mano e mi regala un pezzo di Lego che tengo gelosamente nella tasca dei pantaloni e porto sempre con me. Al muro del patio è appesa una grossa lavagna con il mio nome e sotto “Benvenuto, Welcome…”. Le bambine e le ragazze più grandi, riunite davanti a me, cantano un paio di canzoni e si presentano ad una ad una. Il ghiaccio è rotto.

Valerio, volontario di Isla

Fine prima parte. La seconda parte del racconto sarà pubblicata nel blog tra una settimana.