Niccolò e l’India: molto più di un’esperienza di volontariato internazionale
Lo ammetto: atterrato in India, mi sono sentito subito un po’ Rudyard Kipling o Steve McCurry.
Tutti, ma proprio tutti, dal turista al personaggio famoso allo scrittore hippie, sono passati in India, lasciando una scia di testimonianze, ritratti, fotografie, racconti, nell’intento di descrivere ciò che si prova e ciò che si vede. Più volte mi sono domandato: sarà vera questa fotografia? È verosimile questo racconto?
Eppure, niente di tutto questo prepara al “grande momento”. Il momento dell’arrivo, dell’impatto, quando si entra nel paese “a pelle nuda”. In quel preciso istante, ci si rende conto che nessuno, né Kipling né McCurry né il tuo migliore amico, è riuscito a descrivere l’India, la vera India. Perché l’India è turbamento e sbigottimento da quando atterri in aeroporto a quando tornerai a casa.
Un buon viaggiatore dovrebbe sapere che tutte le culture, viste dall’esterno, sono “strane”, ma credo che l’India sia “un po’ più strana”. Con il suo turbinio di odori, colori, linguaggi, riti, costumi e tradizioni, mi verrebbe da dire che nemmeno un indiano possa, in tutta la sua vita, comprenderla e descriverla così com’è.
Io ho scelto l’India per questo, per la sua apparente incomprensibilità, per conoscere e odorare anche solo un pezzettino di questo splendido e sconosciuto paese.

Niccolò e Annalisa, volontari in India con Isla ng Bata – L’isola dei Bambini.
È la mia prima esperienza da volontario internazionale e, devo ammettere, il progetto di Isla Ng Bata – L’isola dei Bambini Onlus, mi ha attirato subito: sono rimasto affascinato dalla sua mission e dal modo in cui, qui, viene portata avanti. Il Day Care Centre, che si occupa dell’istruzione di bambine e bambini provenienti da famiglie povere, viene gestito da una famiglia indiana che mette a disposizione spazi, tempo e risorse, dedicando praticamente la vita a chi è più sfortunato.
Dopo una notte di volo sono entrato in una vera casa indiana, accolto da una vera famiglia indiana, e una schiera di bambini sorridenti che mi hanno salutato in coro: “Good morning, Sir!”. Da quel mattino ho avuto finalmente la possibilità di conoscere la vera India, o almeno un piccolissimo grande pezzo di questo immenso subcontinente: le relazioni all’interno di una famiglia indiana, il rispetto fra genitori e figli, il rapporto fraterno. Mi sono reso conto che, per quanto alcune cose siano incomprensibili nella mia cultura, altre sono forse universali.
Tutte le mattine iniziavano con una dozzina di visi, quelli delle bambine e dei bambini del Centro Diurno, che mi sorridevano con i loro grandi occhi neri, vestiti di divise più o meno ordinate, ognuno con la propria borsa, i quaderni e le matite. Avevo un compito apparentemente facile e lineare: insegnare loro alcune parole di inglese. Giorno dopo giorno i bambini venivano e ripetevano quelle parole e io ho potuto così scoprire i lati nascosti delle loro piccole personalità, i caratteri, la bellezza e la timidezza, la voglia di imparare e la ricerca di attenzioni, la furbizia e l’ingenuità. Qualcuno ha iniziato veramente a migliorare nella pronuncia delle parole e nella comprensione delle domande, a contare fino a trenta, a fare lo spelling del proprio nome. Annalisa, la mia compagna di viaggio, ed io abbiamo cercato di insegnare loro l’inglese in modo che si divertissero ed è stato bello vederli imparare con risate, scambi di linguacce e battiti di mani.
Se penso a cosa significhi per me conoscere “un pezzo d’India”, direi che sono proprio le lezioni di inglese con queste bambine e bambini del Centro Diurno di Gurgaon. Lezioni di sorrisi e divertimento in mezzo a tanta povertà.

Niccolò e Annalisa, volontari in India con Isla ng Bata – L’isola dei Bambini.
L’India è un paese dalle enormi contraddizioni, anche per chi qui è nato. Non dimenticherò mai Ananta e Ranjita, la famiglia che ci ha ospitato, rispondere a molte domande semplicemente dicendo: “We’re crazy” o “This is India”. Perché questo paese non si può descrivere meglio. Semplicemente: è strano e non lo puoi capire. È così.
Ho sentito dire che in India ci sono molti problemi; ma ci sono anche 1,25 miliardi di persone che possono risolverli. Io, in questo mese trascorso a Gurgaon, mi sono sentito uno di quei 1,25 miliardi di persone che sognano per queste bambine e bambini una scuola, un buon lavoro, una famiglia che si prenda cura di loro. E magari, perché no, di usare ogni tanto qualche parola di inglese, attraverso le quali li ho visti muovere i primi incerti – ma sorridenti – passi.
Niccolò Bardini, Volontario in India