BLOG DI ISLA NG BATA - L'ISOLA DEI BAMBINI

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Valerio, dal centro commerciale al volontariato nelle Filippine (II parte)

…continua.

I primi giorni in Casa Famiglia ero crucciato perché mi domandavo quali dovessero essere i miei compiti. Io non ho mai fatto volontariato, non ho idea di cosa mi debba occupare, che cosa mi compete e cosa no.

Francesco, con la sua grande sincerità e il suo cuore, mi semplifica le cose : “Riposati adesso. Pensa a riprenderti dal viaggio. Poi vai un po’ in giro da solo, guarda con i tuoi occhi e vedi che c’è da fare”.

Non so dire quanto mi piaccia questo spirito. Qui di cose da fare ce ne stanno tante. La Casa Famiglia è un grande, enorme, unico organismo vivente. Ciascuno si muove per far funzionare il tutto. I workers si occupano della manutenzione e della realizzazione di alcuni interventi strutturali della casa, le housemothers si prendono cura delle bambine più piccole e delle questioni domestiche, la cuoca prepara il pranzo per circa quaranta persone al giorno. Poi c’è Edward, il fratellino filippino di Francesco che si occupa di tutto il resto insieme ai “padroni della casa”. Francesco dorme mezz’ora ogni due giorni, correndo da una parte all’altra e occupandosi di mille faccende, e Flora, con la sua grande pazienza e la sua calma asiatica, permette che tutto questo sia in piedi.

Poi ci sono loro, le beneficiarie di tutta questa “macchina”. Ciascuna bambina, ciascuna ragazza con la propria personalità, con le proprie aspirazioni, le proprie certezze e insicurezze, i propri sogni: una di loro vorrebbe diventare un grafico, l’altra è troppo pigra per studiare ma ogni giorno prende la chitarra e suona. Ci sono ragazze con tanti interessi che ancora non sanno scegliere. Ci sono bambine così riservate di cui non riesci ad imparare il nome perché con loro non parli mai. Tuttavia, capita anche che, all’improvviso, un giorno una di loro arrivi e ti racconti di uno dei tanti libri che ha letto. C’è chi ti abbraccia subito e chi continua a guardarti con sospetto.

Questa è una famiglia, anzi una comunità, in cui viene in qualche modo rappresentato il mondo in piccolo. Una comunità di cui inizi a far parte anche tu nel giro di pochissimo tempo senza neanche rendertene conto. Allora mi ritrovo a ballare la Baby Shark Dance con le bambine, ad aiutare le housemothers a fare i biscotti, a raccontare un viaggio alle ragazze più grandi curiose di sapere “com’è il mondo fuori”.

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Volontariato nelle Filippine: il racconto di Valerio.

I primi giorni ho addirittura fatto degli esperimenti per preparare il sapone, con olio d’oliva e olio di cocco, poi ho iniziato a verniciare le porte e le grate di un magazzino dove si prepara l’aceto, ho potato piante e, alla fine, ho iniziato a disegnare e dipingere con gli acquarelli la mattina con le piccole e la sera con le grandi.

Così mi ritrovo “improvvisamente” catapultato in una dimensione che non mi aspettavo, piena di gente e rumori dalla mattina alla sera. E mentre penso che questo potrebbe essere un trauma, ascolto, sorrido e penso: “Questa è Christine che ride, questa è Giulia che litiga con Rona”.

Ecco, le sto conoscendo, me le ricordo, ci vivo insieme. E in poco tempo mi sono abituato alle punture di insetti sconosciuti, a non ricordarmi dove ho lasciato le infradito, a bere un caffè con il piccolo Alex in braccio e Micca e Sophie aggrappate alle gambe.

Non posso credere che sia già passato quasi un mese. Le giornate sono lunghe, intense, ma mi ritrovo sempre improvvisamente che è sera. Fra pochi giorni mi rimetterò in viaggio con questa esperienza nello zaino e sento che le bambine già mi mancano.

Il volontario si suppone sia io. Sono “quello che va a aiutare”. Però, se penso a quello che ho preso e a quello che ho lasciato, la bilancia pende: ho preso una carica di allegria che è cresciuta sempre più, una “botta” di autoconoscenza e autostima, ho ricevuto pensieri d’affetto di ragazze mai abituate a dire addio, mi sono caricato di nuove energie e stimoli.

Me ne vado da qui con l’idea che la parola “volontario” è usata poco correttamente. Forse “volontariato” significa “prendersi il piacere di donare”.

Valerio Bresci, “che si è preso il piacere di donare” affetto, cure e allegria alle bambine della Casa Famiglia nelle Filippine. La prima parte del racconto è questa.